MANOVRA DI BILANCIO E PRESSIONE DI BRUXELLES


"Il bilancio deve essere equilibrato, il tesoro risanato, il debito pubblico ridotto, l'arroganza della burocrazia moderata e controllata, l'assistenza alle nazioni estere tagliata, per far sì che Roma non vada in bancarotta"

Questa non è una frase estrapolata a qualche economista liberale, alle buone intenzioni di Giovanni Tria, ministro dell'economia e delle finanze dell'attuale governo italiano, oppure agli ammonimenti di Pierre Moscovici, Commissario Europeo per gli Affari Economici e Monetari. La frase in realtà appartiene a Marco Tullio Cicerone, che già nel primo secolo avanti Cristo si preoccupava di come a Roma era gestita l'economia.

La manovra di bilancio che l'esecutivo italiano intende mettere in atto nei prossimi anni, è oggetto di intenso dibattito e conosce toni molto accesi. La Commissione Europea (CE) intende far rispettare i parametri del patto di stabilità e crescita e le indicazioni di contenimento della spesa pubblica: in pratica la continuazione della politica economica e fiscale intrapresa dai precedenti governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Gli italiani si sono però accorti che tali raccomandazioni non hanno portato ad una riduzione, bensì ad un ulteriore aumento del debito pubblico. Esso era 1.900 miliardi di € nel 2011, pari al 120% sul prodotto interno lordo (Pil). Oggi è pari a 2.300 miliardi, pari al 132% del Pil. Pensare che nel 1980 il rapporto debito/Pil era 56.8%, e per tanti anni l'Italia era ai primi posti come crescita economica. Man mano che si andava completando il processo di integrazione monetaria e politica europea, il rapporto debito/Pil continuava a salire.

Oggi la crescita economica è notevolmente rallentata nel paese, ancora di più della media della zona Euro. E quindi cresce tra i cittadini italiani lo scetticismo verso l'Unione Europea (UE) e la sua moneta unica. Il sogno europeo aveva alimentato negli italiani la speranza che presto si sarebbe pervenuti ad una amministrazione pubblica meno clientelare, più efficiente e meno burocratica. Ad un maggiore benessere e crescita. Alla fiducia in un migliore futuro. Oggi assistiamo al brusco risveglio da tale sogno: gli italici peccati endemici sono sempre lì, con la solita mafia, con la solita corruzione, con la solita burocrazia. Oltre a ciò gli italiani sono chiamati a convivere con ondate migratorie africane incontrollate, con un'economia stagnante e anche sotto regole di austerità dettate dall'alto, dai tecnocrati di Bruxelles, che non solo non sono in grado di tolgliere i vecchi mali, ma sembrano aggiungerne ancora di nuovi.


Secondo l'Istituto nazionale di Statistica (Istat), in Italia vi sono 5 milioni di cittadini che vivono sotto la soglia di povertà. Il sottosegretario attuale al ministero degli Affari Europei, il giurista professore Luciano Barra Caracciolo lo ripete da tempo:

"L'Europa ci conduce alla morte. Abbiamo perso nel corso degli ultimi 20 anni un terzo della industria manifatturiera, insieme al 25% dell'industria. Se non vogliamo diventare una nazione deindustrializzata, alla stregua di un paese del terzo mondo, dobbiamo lasciare la zona euro"

Eppure ci avevano decantato l'Unione Europea come la nostra comune casa, terra messianica e soluzione a tutte le diatribe e guerre del passato. Ci avevano spiegato che l'asse franco-tedesco era necessario per il processo di unificazione europea, e che fuori da questa Unione non ci sarebbe più stata vita per singole nazioni. A questa Europa franco-tedesca abbiamo quindi affidato speranze e chiavi di casa, la nostra moneta e gran parte del nostro potere decisionale in materia economica, politica e sociale. Risultato? Negli ultimi 20 anni siamo passati da essere la quarta potenza industriale al mondo ad essere il fratello grande del bambino più malato d'Europa, la Grecia appunto. Siamo diventati più poveri, siamo in crisi economica, in crisi culturale, in crisi identitaria, abbiamo buttato nel calderone di Bruxelles buona parte della nostra sovranità, ed inoltre le nostre culle restano desolatamente vuote. Eppure 20 anni fa la mafia esisteva anche allora, insieme alla inefficienza dell'apparato statale. Ma per via di una certa scuola di pensiero nordica, chi è causa dei suoi guai pianga solo se stesso, l'Italia è bollata sprecona ed i soliti virtuosi immacolati non devono pagare il suo debito.



Il miglior esempio di tale scuola di pensiero lo si può ricavare dall'intervista che l'allora presidente dell'Eurogruppo, il socialista olandese Jeroen Dijsselbloem concesse al giornale tedesco FAZ nel mese di marzo del 2017. Sentendosi probabilmente in sintonia con l'intervistatore, Dijsselbloem si lasciò andare a cuor leggero sui paesi meridionali dell'Eurozona:

              "Non puoi spendere tutti i soldi in alcool e donne, e poi chiedere aiuto"

L'aiuto "solidale" dei paesi nordici, certo, certo. Abbiamo già apprezzato questa solidarietà nel caso della Grecia. Gli italiani debosciati sarebbero dunque ubriaconi e puttanieri, che vivono al di sopra delle proprie possibilità al sole, vicino al mare e suonando mandolini. La colpa dei loro guai è certamente loro. Interessante notare a questo punto come la parola tedesca ed olandese "Schuld" significhi al tempo stesso colpa e debito. Persino i colleghi eurosocialisti si distanziarono indignati da tale presa di posizione, insieme al presidente della CE Jean-Claude Juncker, che per altro sembra apprezzare molto il vino italiano. Soltanto Wolfgang Schäuble, il potente Bundesfinanzminister di allora, fu l'unico a prendere le difese di Dijsselbloem. E anche ciò appare essere significativo.

In Italia vi sono molti economisti decisamente euroscettici, come Claudio Borghi Aquilini, Alberto Bagnai, Antonio Maria Rinaldi, Elio Lannutti, Valerio Malvezzi per citare alcuni nomi. Essi non ritengono che la attuale crisi ha come causa prima l'eccedenza di spesa, narrazione cara ai tedeschi. Essi individuano l'inizio della crisi con l'ingresso italiano nel Sistema Monetario Europeo nel 1979, seguito dalla separazione tra Banca d'Italia e Tesoro. Contro questa corrente si schierano gli analisti economici dei più grandi quotidiani, come il Corriere e Repubblica, ed economisti quali Carlo Cottarelli, Tito Boeri, Mario Monti, Ignazio Visco, che ottengono molto spazio mediatico e sacralizzano l'Unione Europea e l'Euro come un dogma necessario ed irreversibile, essendo questa Europa la grande ed unica occasione di uscita dalla crisi che l'Italia sta sprecando, e pertanto per essi ci vuole "più Europa".



Nell'attesa di metà novembre, quando il ministro Tria presenterà il documento definitivo della manovra di bilancio, varie letterine di raccomandazioni e spiegazioni sono state inviate tra Roma e Bruxelles. Lo stesso euro-hooligan Moscovici nel mese di ottobre si è fermato diversi giorni a Roma, ad incontrare oltre a Tria anche il Presidente Mattarella, il Governatore di Bankitalia Visco, e perorare con loro ad libitum le buone ragioni della CE. Poi ha rendicontato davanti agli attoniti parlamentari europei di Strasburgo della sostanziale intenzione italiana a tirare diritti sulla strada indicata nel proprio Documento di Economia e Finanza (DEF). Scandalo! Per la prima volta infatti una manovra economica viene scritta a Roma, e non già a Bruxelles. Alla fine della relazione l'eurodeputato leghista Angelo Ciocca ha furtivamente messo mano sulle carte di Moscovici, e vi ha impresso sopra con forza la suola della propria scarpa, dicendo: "Una scarpa made in Italy, per dire no all'Europa che calpesta le nostre vite, la nostra economia e le nostre idee". Moscovici ha avuto la grande fantasia di replicare che da simili gesti si evince come il fascismo sia sempre in agguato. Ma per l'eurocommissario si profilano nel frattempo altri agguati. Infatti due giornalisti, Francesco Palese e Lorenzo Lo Basso, insieme al parlamentare Mario Borghezio, hanno fatto un esposto dinnanzi al Procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone proprio contro Pierre Moscovici e contro Günther Öttinger Commissario Europeo al Bilancio, per "aggiotaggio" e "manipolazione del mercato", essendosi dichiarati contrari al DEF italiano ancor prima di averlo potuto leggere.

Anche Marco Travaglio, direttore del giornale Il Fatto Quotidiano, ha avuto parole di fuoco:

"Fondo Monetario Internazionale (FMI), CE e Bankitalia non possono permettersi di dire ai governi quali leggi fare. Per loro la legge Fornero non si può toccare, e nemmeno il Jobs Act, il Reddito di Cittadinanza è vietato, e così pure la Flat Tax. Se le scelte le devono fare la finanza ed i mercati, oggi potrebbero fare una legge che imponga lo sterminio dei nostri 5 milioni di poveri, e lo Spread andrebbe sotto zero. Anche le borse andrebbero in euforia se si imponesse per legge il suicidio obbligatorio di tutti i pensionati!"


Il Vicepresidente della CE, Valdis Dombrovskis, ha voluto anche lui mettere pressione al governo italiano. Ha affermato che non crede affatto alla manovra in deficit del 2.4%, annunciato da questo, e che ritiene verosimile un 2.9% che metterebbe in pericolo tutta l'eurozona. Tale parametro sarebbe comunque ancora dentro quel famoso 3% di rapporto deficit/Pil da non sforare, e che invece è stato superato tante volte negli ultimi anni da paesi come Grecia e Portogallo, ma anche da Gran Bretagna, Francia e la stessa Germania.
"Ci vuole poco a rovinare una economia, e tanto a ricostruirla" ha detto in modo sibillino Dombrovskis, ed ha pure minacciato di aprire una procedura contro l'Italia con possibili multe. Ecco di nuovo la famosa solidarietà della CE, che pretende poi di poter prevedere ogni futuro economico. Ma la previsione non è scienza, è spesso pratica di cialtroni, indovini e di politici ideologizzati. Nel caso della Grecia, fidandosi del FMI, le previsioni economiche furono completamente disattese dalla CE, con margine di errore del 33%. "Avevamo sbagliato i moltiplicatori", dirà poi uno degli economisti coinvolti, l'italiano Carlo Cottarelli, quello che Mattarella avrebbe ben visto come Presidente di un governo tecnico. Dal 2011 il Pil della Grecia è calato del 25%, un quarto degli abitanti vive in povertà, 500.000 sono fuggiti, 22% è senza lavoro, il debito pubblico è salito da 140% a 180%, vi sono picchi di infezione da HIV, vi è un boom di disturbi mentali, la sanità pubblica è al collasso. Il Consiglio d'Europa ha lanciato l'allarme: l'austerità in Grecia viola i diritti umani.
Chi mette al primo posto la stabilità di bilancio compie un crimine contro l'umanità.

E così, mentre in Italia la crescita economica nell'ultimo trimestre è stata pari a zero, il ministro Tria cerca di trovare la quadra tra i rigori di Bruxelles e le promesse annunciate in campagna elettorale da Lega e Movimento 5 Stelle, tra cui spiccano la abolizione della legge Fornero e il Reddito di Cittadinanza, valevoli quasi un punto di Pil. Probabilmente vi sarà una sostanziale modifica su questi ultimi due aspetti, che verranno un poco "congelati", con una contrazione della manovra da 37 mld di € a 33 mld di €. Il ministro Tria, persona abitualmente molto garbata, cauta nelle dichiarazioni e dai toni smorzati, ha spiegato al presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno che per l'Italia sarebbe un suicidio rispettare i parametri che la CE vorrebbe imposti, e che le stime di Bruxelles sono una "défaillance tecnica". Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto chiaro e tondo che la manovra italiana sarà espansiva, atta cioè a rilanciare l'economia tramite robusti investimenti pubblici.

Gli investimenti pubblici erano il 3.4% del Pil nel 2009. Il governo Gentiloni li ha ridotti ad un 1.9% del Pil. Il governo Conte intende portarli al 2.1% nel 2019, al 2.4% nel 2020 e al 2.7% nel 2021. Ciò appare essere una priorità assoluta. Dal 2001, con la introduzione dell'Euro, gli investimenti italiani sono stati in media il 2.7% del Pil, a cospetto di una media europea del 3%. Questa differenza di 0.3% è pari a poco meno di 100 miliardi di €, che costituisce un grave ritardo nei confronti degli altri paesi europei. I mercati intanto non hanno reagito male a questo tira e molla tra Roma e Bruxelles sulla legge di bilancio. Lo Spread, cioè la differenza di rendimento tra i Bund tedeschi e i BTP italiani, oscilla da tempo intorno ai 300 punti, nonostante che la BCE di Mario Draghi abbia annunciato la fine del Quantitative Easing a dicembre. Moody's ha declassato l'Italia, Standard & Poor's no, Fitch ha rimandato il verdetto, e DBRS è ottimista. Ascoltiamo queste agenzie di rating con un pizzico di scetticismo, specie dopo il crack della Lehman Brothers nel 2008, che avrebbe piegato la finanza e l'economia mondiale. Pochi mesi prima del crollo, per suddette agenzie la banca di investimenti godeva appunto di ottima affidabilità.


Diceva ancora Marco Tullio Cicerone:

                                        SALUS POPULI SUPREMA LEX ESTO

               "Il benessere del popolo deve essere la legge più importante"

Possiamo considerare dunque pure Cicerone un populista del mondo classico?
L'economista Valerio Malvezzi dice oggi cose simili:

"Dobbiamo capire che lo scopo di uno Stato non è fare il pareggio di bilancio, bensì assicurare il benessere dei cittadini"

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